Una storia Toscana, epistolario e memorie della famiglia Fineschi (Cavriglia,1880-2017) di Filippo Boni
Esiste una specie di rosa, la Rosa Memorie, che è un ibrido di tea molto vigoroso. Possiede un fiore doppio, di colore bianco puro, profumato, e un fogliame verde scuro brillante che rende questo cespuglio estremamente elegante. È rifiorente. Fiorisce dall’ inizio della primavera fino all’ arrivo del freddo. Predilige posizioni soleggiate. Non teme il freddo.
La immagino da qualche parte, in questo meraviglioso Roseto, fiorire i primi giorni di aprile e spegnersi in ottobre, portando in sé e con sé la linfa intima ma universale della storia di questa famiglia che dette vita e respiro a questo luogo magico e che al contempo ora, ha deciso di fermare le proprie memorie in questo volume, Una storia Toscana, epistolario e memorie della famiglia Fineschi, Cavriglia (1880-2017), Aska editore, 2025.
«Tanti bacini dal tuo Massimo». In questa chiusa semplice e struggente si concentra il senso di una vita intera, e forse anche di molte altre, silenziosamente attraversate dalla Storia con la “S” maiuscola. Le lettere che compongono Una storia toscana – quell’epistolario e quelle memorie raccolte con pazienza certosina da Antonella Fineschi – ci restituiscono qualcosa di più profondo e duraturo di una cronaca familiare legata visceralmente a Cavriglia ed alla sua gente: ci offrono un varco verso la dimensione più intima dell’umano nel tempo, là dove le ferite della guerra, la malinconia dell’esilio, la dolcezza dei legami e il peso dell’eredità si stringono in un’unica, vibrante melodia.
Il gesto di Massimo, a cui è dedicato il libro, ragazzo malato, che nel 1940 scrive al “caro babbino” impegnato nel deserto libico – e lo fa con la semplicità disarmante di chi sa che il tempo gli è nemico – è l’archetipo di tutti i figli separati dai padri dalla guerra, dalla morte, dal destino. «La mia unica croce ora è l’assoluta immobilità», scrive. Eppure, quelle parole, affidate a un foglio e a un’intimità impossibile da raggiungere, viaggiano attraverso il Novecento come un testimone della memoria, come una bottiglia affidata a un mare in tempesta.
In queste pagine, Cavriglia e la famiglia Fineschi diventano il cuore pulsante di una microstoria che risuona all’unisono con la grande Storia. È quella “scienza del vissuto” evocata da Marc Bloch e Michel de Certeau, che non separa il documento dal corpo che lo ha scritto, la testimonianza dal battito d’anima che l’ha generata. E proprio per questo, questo libro non è un semplice volume di memorie: è una soglia.
Una porta che si apre sull’esistenza vissuta fra le righe, sulle crepe del tempo, sulla realtà incerta che abita tra la vita privata e i grandi eventi collettivi di una famiglia che a Cavriglia ha segnato il corso della storia: in un secolo ha avuto due sindaci, Giuseppe e Rambaldo in una discendenza familiare virtuosa, senza dimenticare Gianfranco, ortopedico, musicista e botanico di fama internazionale scomparso nel 2010 e fondatore di questo bellissimo roseto insieme alla moglie Carla.
Come ha scritto Elias Canetti, «ogni famiglia è un’isola, ma ciascuna isola ha le sue onde, le sue tempeste, i suoi naufragi e i suoi approdi». E in Una storia toscana quelle tempeste si chiamano miniere, guerre mondiali, esilio, deportazione, lavoro, ricostruzione, progresso industriale. Ma anche amore, pazienza, corrispondenza, attesa.
Il libro ricompone – mai del tutto, mai fino in fondo – i frammenti di un’identità collettiva, con lo sguardo teso su due assi narrativi fondamentali: famiglia e territorio. Due parole radicate come alberi nella terra feconda della Toscana mineraria, due lemmi che tornano come refrains in una sinfonia del tempo. La famiglia Fineschi si muove in uno spazio che cambia volto, che si trasforma da campagna a città-fabbrica, da cava a deserto umano, da rifugio a teatro. E nel frattempo cresce, combatte, perde, ricorda.
La voce di Antonella Fineschi, curatrice e discendente, non è neutrale. È, come direbbe Carlo Ginzburg, “uno sguardo ravvicinato”. Uno sguardo che non giudica ma abita, che non spiega ma accompagna, che non analizza ma ricuce. Qui «il passaggio di un grande momento storico» convive con «l’impossibile ricomposizione tra due mondi»: quello dell’attesa e quello della perdita, quello del prima e quello dell’ora.
E se la famiglia è, come suggerisce Paul Ginsborg, crocevia tra pubblico e privato, allora queste lettere e questi scritti sono il punto di collisione tra il dramma individuale e le architetture imponenti del Novecento. Si percepisce in ogni frase, in ogni silenzio epistolare, in ogni fotografia: la guerra che arriva, il podestà che viene catturato e internato, la figlia che scrive versi dalla periferia del giorno.
«Arriveranno altre anime», scrive Maria Cristina Fineschi. E in quei versi sospesi – che evocano una catarsi mai definitiva – c’è la vera eredità di questa storia: un passaggio di testimone malinconico ma tenace, il tentativo di salvare il senso dal naufragio della modernità. Le anime arriveranno, sì, e magari non sapranno nulla di lignite, di Cavriglia, del Casalone, delle rose o di Rambaldo. Ma quel filo invisibile che attraversa le generazioni resterà. Come uno spettro, come un faro.
Il “sistema di rappresentazione” evocato da Bloch si concretizza qui nella struttura fragile, eppure potentissima, della parentela. Il dolore condiviso diventa narrazione, la narrazione memoria, la memoria futuro. «Una famiglia non è mai soltanto ciò che è stata – scrive Natalia Ginzburg – ma ciò che continua a essere per chi ne porta il nome o l’eco».
E così “Una storia toscana” diventa molto più di un libro: è un’eco. È il ricordo di un bambino che chiede se il caffè costi ancora tanto. È il respiro lungo di un secolo con le storie di Caterina Viciani, Angiolo, Nella e Leafosca Fineschi, figli di Giuseppe e fratelli di Rambaldo. E poi quelle di Elvira Giannozzi, Gianfranco e Maria Paola Fineschi.
È la Storia, la loro storia, che, per una volta, non si racconta dai palazzi del potere, ma dal cuore delle case, dai letti dei malati, dai campi di prigionia, dai bordi di fotografie ingiallite dal tempo.
Queste anime ora vagano tra i profumi di queste rose che il vento confonde e abitano il cuore di chi cammina in questi viali, ma ora rivivono anche in queste pagine, ci respirano vicine, diventano anche i nostri familiari.
Non solo quelli appartenenti al mosaico profondo di questa storia.
Una storia vera, finalmente, e perciò, profondamente universale.
Filippo Boni – Vice Sindaco di Cavriglia